Il bivio della dignità umana e la questione dei diritti ontologia ed etica della dignità umana - Núm. 7, Octubre 2015 - Revista Derecho Público Iberoamericano - Libros y Revistas - VLEX 648790217

Il bivio della dignità umana e la questione dei diritti ontologia ed etica della dignità umana

AutorGiovanni Turco
CargoDoctor en Filosofía
Páginas13-59
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Octubre 2015 Il bivio della dignità umana e la questione dei diritti ontologia ed etica della dignità umana
Derecho Público Iberoamericano, Nº 7, pp. 13-59 [octubre 2015]
IL BIVIO DELLA DIGNITÀ UMANA
E LA QUESTIONE DEI DIRITTI
ONTOLOGIA ED ETICA
DELLA DIGNITÀ UMANA
THE JUNCTION OF THE HUMAN DIGNITY
AND RIGHTS ISSUE
ONTOLOGY AND ETHICS OF HUMAN DIGNITY
Giovanni Turco*
Sintesis
La dignità umana è stato è stata deformata da pensiero moderno poskan-
tiano. Ha sollevato molte aporie giuridiche ed etiche. Il problema viene
risolto in modo soddisfacente facendo ricorso alla nozione di dignità della
filosofia classica e cristiana.
Parole chiave: dignità umana, diritti fondamentali, filosofia classica.
Abstract
The human dignity has been deformed by post-kantian modern thought.
It has raised many legal and ethical paradoxes. The problem is resolved
satisfactorily by resorting to the notion of dignity of classical and Chri-
stian philosophy.
Keywords: human dignity, fundamental rights, classical philosophy
1. Istanze della dignità come dato e come vincolo
Non poche Dichiarazioni e Convenzioni di rilievo internazionale fanno
riferimento alla dignità umana come base dei diritti umani. In diversi casi
*Doctor en Filosofía. Docente all’Università degli Studi di Udine di Filosofia del
diritto, Etica, Deontologia professionale e Teoria dei diritti umani. Artículo recibido el
17 de mayo de 2015 y aceptado para su publicación el 4 de agosto de 2015. Correo
electrónico: giovanni.turco@uniud.it
GIOV"NNI TURCO
DPI Nº 7 – Estudios
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tale indicazione emerge non come rinvio generico, ma come presupposto
specifico. Di modo che la menzione della dignità –pur in assenza di una
sua definizione concettualmente perspicua– ne postula, in certo senso, una
(originaria) consistenza e ne segnala al contempo –sebbene solo incoati-
vamente– una (intrinseca) normatività. In tale contesto, la considerazione
della dignità umana (intesa come base e come criterio dei diritti) palesa
l’emergere di istanze sostanzialistiche, ancorché contigue agli sviluppi
delle formulazioni della concezione razionalistica dei diritti umani.
Al riguardo appare esemplare la Dichiarazione universale sul genoma
umano e i diritti umani (1997), della Conferenza generale dell’UNESCO.
Vi si legge che
“il genoma umano sottende l’unità fondamentale di tutti i membri della
famiglia umana, come pure il riconoscimento della loro intrinseca dignità
e della loro diversità” (art. 1).
Talché il testo afferma:
“a) Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria dignità e dei propri
diritti, qualunque siano le proprie caratteristiche genetiche. b) Questa
dignità impone di non ridurre gli individui alle loro caratteristiche geneti-
che e di rispettare il carattere unico di ciascuno e la sua diversità” (art. 2).
La dignità umana vi rileva come dato obiettivo comune a tutti gli
esseri umani, ovvero come propria dell’ “unità fondamentale” degli esseri
umani. Essa appare connotata, sia pure implicitamente, da una sostanzia-
lità essenziale, tale da non potere essere identificata con l’empiricità –ed
ancor meno con qualsivoglia fenomenicità– di caratteristiche, di individui
o di gruppi. In altri termini, la dignità in quanto al tempo stesso è co-
mune all’umanità e presente in ciascun individuo umano, va al di là del
mero esserci. Sicché ne trascende tanto la fenotipicità quanto la fisicità.
In certo senso, si può osservare che essa richiede di essere pensata come
dato transfisico, pena il non potere essere rinvenuta, come partecipata da
tutti e da ciascuno. Solo a tale condizione, infatti, il comune non esclude
il diverso, anzi lo fonda e lo sostanzia.
Il genoma appare indicativo della dignità, ma non identico ad essa. E
questa emerge come rivelativa della irriducibilità (ontologica) di quello.
Appunto in quanto umano. Il rispetto dovuto al genoma rinvia a quello
dovuto alla dignità umana, e questa a quello richiesto dalla natura umana.
La dignità del genoma è da rinvenibile nella sua umanità. Il suo carattere
di “patrimonio” non è proprio di un connotato accidentale (ed ancor meno
artificiale), ma di una dotazione intima ed essenziale. A questa condizione
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si intende, di conseguenza, che “il genoma umano nel suo stato naturale
non può dar luogo a profitto” (art. 3). L’istanza della sostanzialità della
dignità emerge, altresì, dall’irriducibilità dell’individuo umano a quale
che sia delle sue caratteristiche genetiche. Essa risulta indicativa dei vin-
coli obiettivi della ricerca e delle sue applicazioni, nonché delle pratiche,
“come la clonazione a scopo di riproduzione di esseri umani” (art. 11),
per se stesse “contrarie alla dignità umana” (ibid.).
Su tali premesse, l’umanità del genoma umano, come dato, si palesa
rivelativo di una sua intrinseca normatività. Questa emerge sia dall’indi-
cazione del criterio di obiettiva beneficità “beneficio diretto alla propria
salute [...] [o eventuale] interesse della salute di altre persone” (art. 5)”
per quanto riguarda le ricerche sul genoma, sia dalla valutazione secondo
la quale lo stesso accesso ai progressi delle applicazioni della ricerca deve
avere come principio direttivo il “rispetto della propria dignità” (art. 12). A
maggior ragione se si considera che il riconoscimento della dignità propria
dell’essere umano impone il rispetto di se stesso, anche al soggetto mede-
simo nei suoi stessi confronti. Il dovere di rispettarsi importa per ciascuno
in considerazione della sua umanità. Tale dovere si profila alla radice dei
diritti (che ne derivano). Onde il bene della dignità viene in rilievo come
criterio della libertà –anche nei confronti di se stessi– e non viceversa.
D’altra parte, se i summenzionati riferimenti sono tali da richiamare
un’istanza –pur solo implicita– di considerazione sostanziale della dignità
umana, non può essere taciuto che la Dichiarazione omette di indicare
esplicitamente quale sia l’ubi consistam ovvero il fondamento della stessa
dignità umana (come propria, appunto, dell’umano in quanto tale). Tale
carenza si associa ad un ulteriore momento problematico, allorché il testo
afferma apoditticamente che “il genoma umano, per sua natura evolutivo,
è soggetto a mutazioni” (art. 3). Difatti l’evolutività, a rigore, renderebbe il
genoma un prodotto dell’evoluzione e non un dato originario e distintivo
del soggetto umano in quanto tale. Correlativamente, la stessa dignità,
lungi dal palesarsi come incontrovertibile, acquisterebbe essa stessa un
carattere evolutivo, tanto nel contenuto quanto nel riconoscimento. In
entrambi i casi sarebbero se stessi ed altri da se stessi contemporaneamente.
Con evidente pregiudizio della loro basilarità, la quale, pur conservando
una univocità verbale, finirebbe per assumere una equivocità sostanziale.
A maggior ragione se si pone mente alle “potenzialità [racchiuse nel ge-
noma] che si esprimono in maniera differente a seconda dell’ambiente
naturale e sociale di ogni individuo” (ibid). Donde il quesito se si tratti di
potenzialità accidentali o sostanziali, se cioè si tratti di potenzialità che si
aggiungono all’essenziale o lo determinano in quanto tale. Nel primo caso
esse non lo mutano in se medesimo, nel secondo invece lo costituiscono

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